That's it

Suona il campanello e Lauren corre veloce ad aprire la porta. «Philip!» I suoi occhi si illuminano. Bacia Philip come se non lo vedesse da anni, come se fosse tornato dalla guerra. Non lo vede da ieri sera, non più di venti ore fa. Sono i misteri dell’infatuazione; ci si casca sempre, ci caschiamo tutti. Tra mille persone, proprio quella ha qualcosa che attira il tuo sguardo, come una calamita attira la polvere di ferro. Provi a guardare da un’altra parte, ma c’è sempre lo stesso viso. Credevi di aver voltato la testa, forse l’hai anche fatto, ma quello che hai visto è stato rifiutato dal tuo cervello, che vuole vedere solo lei. Le tue gambe si muovono da sole, ti avvicini, non hai il coraggio di rivolgerle la parola. Se sei fortunato anche quella persona ti ha notato, altrimenti finisce tutto prima di iniziare. Se sei ancora più fortunato, è quella persona che rivolge la parola a te, altrimenti finisce tutto prima di iniziare. Se il caso vuole farti trovare dell’alcol per farti coraggio, forse le rivolgerai tu la parola e potrebbe andarti bene. Se hai esperienza, non hai nemmeno paura di rivolgerle subito la parola e, mal che vada, ti rifiuta. Questa volta è stato il destino a metterci le mani. Lauren stava passeggiando per la strada e le si era spezzato un tacco. Un passante cortese l’aveva sorretta nel momento di perdita di equilibrio. Quel passante era Philip. Da cosa nasce cosa, un caffè, due parole, un appuntamento e scoppia la passione.

Lauren e Philip si frequentano ormai da quasi tre settimane. «Ho fatto incorniciare la nostra foto. Andresti in camera da letto ad appenderla alla parete? Io finisco di prepararmi. Ti ho lasciato un chiodo e il martello sul letto.» È normale. Martellare è un lavoro da uomini, va tutto bene. Philip accetta di buon grado ed entra nella stanza. Lauren si sta truccando in bagno. Philip, che è un uomo attento, chiude la porta alle sue spalle, per disturbare il meno possibile col rumore dei colpi, ma dopo il primo passo verso il letto, la stanza resta al buio. “Dannazione! È saltata la luce.” Tastando con una mano cerca l’interruttore, per verificare che non ci sia più corrente, ma non lo trova. Infastidito, tasta la parete a lungo, ma proprio non riesce a trovarlo. “Com’è possibile? Ho acceso la luce quando sono entrato. Era qui.” Allora decide di cercare la maniglia della porta. La mano scorre la parete fredda, ma non trova il calore del legno. “Impossibile!” E ancora, scorre entrambe le mani sul muro, ma non c’è traccia di interruttore e porta. Agitando le mani nel vuoto, per posizionare idealmente i mobili, striscia lungo tutta la parete. Non solo non trova l’interruttore e la porta, ma nemmeno un ostacolo nel suo percorso. Non una sedia, non un mobile e nemmeno una scarpa lanciata sul pavimento per creare un po’ di disordine. Arrivato a questo punto, a costo di fare una pessima figura, decide di chiamare la donna. «Lauren! Lauren!» Nessuna risposta. “Forse non mi sente.” Si fa coraggio e si inginocchia, carponi sul pavimento, deciso a trovare il letto o comunque un elemento che lo aiuti ad orientarsi all’interno della stanza. “Che cretino. A gattoni come un bambino perché mi sono perso in una stanza. Non nel Sahara! In una stanzetta che ormai conosco come le mie tasche.” Però non trovando alcun impedimento il sangue gli si gela nelle vene, finché un impedimento lo trova. Una vera barriera. Con la testa colpisce un muro, non forte, ma abbastanza da farlo imprecare. “Non può essere! Ho attraversato la stanza. Non posso aver girato intorno.“ E di nuovo costeggia la parete, segue l’angolo e continua, sempre tastando il muro. “Almeno l’armadio lo troverò.” Nessuna traccia di armadio, di porte o interruttori e nessuna traccia del letto. La stanza sembra vuota. “Sto impazzendo. Sì, sto impazzendo.” In preda ad un panico imminente chiama ancora la donna. Nessuna risposta. E ancora, a squarciagola, picchiando i pugni a sangue sul muro. «Lauren! Lauren! Lauren!» Nessuna risposta. “Forse questa è la parete che dà all’esterno.” Si massacra i pugni su tutte e quattro le pareti, perde la voce, stracciandosi le corde vocali con grida tanto forsennate quanto inutili, che alla fine diventano singhiozzi. Un pianto di rabbia mista a paura, poi un pianto di paura mista a rabbia, poi un pianto di paura e basta. Se ne sta rannicchiato in posizione fetale, per terra. “Quanto tempo sarà passato? Ore? Mi sembra una vita. Non può essere. Forse è solo una sensazione. Calma. Un bel respiro. Magari adesso Lauren che non mi ha più visto entra e non può trovarmi così. Le racconterò quello che mi è successo e ne rideremo insieme.” Dopo questo pensiero razionale, che gli ha permesso di ritrovare un po’ di calma, si rialza in piedi, ma non ha nemmeno steso completamente le ginocchia che è di nuovo per terra con le mani sulla testa. Dopo qualche minuto, si rimette in piedi, piano, per non sbattere di nuovo, con un braccio alzato. La sua mano tocca quello che sembra essere il soffitto. Con l’altra mano, tasta la parete laterale. Entrambe sembrano avvicinarsi, molto lentamente. “Sono pazzo! Pazzo!” «Lauren! Lauren!» La gola brucia come l’inferno. Le pareti si avvicinano veramente. Cerca una via di scampo, ma attorno a lui ci sono solo muri, adesso li sente tutti e sei. Non pronuncia più una parola, non chiama più Lauren. Si rannicchia sul pavimento, come prima. Ne sente cinque che premono. Inclina il busto, per guadagnare spazio, finché non tocca il soffitto con la testa. Si fa sempre più piccolo, ma c’è un limite. La pressione dei muri è troppo forte e sente le sue ossa scricchiolare, i suoi muscoli spezzarsi e il suo cuore che continua a battere. Nessuna risposta.

Suona il campanello e Lauren corre veloce ad aprire la porta. «Victor!» I suoi occhi si illuminano. Bacia Victor come se non lo vedesse da anni, come se fosse tornato dalla guerra. Non lo vede da ieri sera, non più di venti ore fa. Sono i misteri dell’infatuazione. Ci si casca sempre, ci caschiamo tutti.

Lauren e Victor si frequentano ormai da quasi tre settimane. «Ho fatto incorniciare la nostra foto. Andresti in camera da letto ad appenderla alla parete? Io finisco di prepararmi. Ti ho lasciato un chiodo e il martello sul letto.»