Mauqa

Un agghiacciante ronzio veniva prodotto dalle due parti della pesante parete d’acciaio dinanzi al signor Anderson le quali, dopo essersi separate diagonalmente, scomparvero una nel pavimento, l’altra nel soffitto. L’uomo varcò la soglia e subito la parete si serrò alle sue spalle, rinchiudendolo nella piena oscurità. “Il letto è subito a destra” gli avevano detto e quindi a destra si voltò muovendosi a piccoli passi ed esplorando l’aria con le mani all’altezza canonica del tipico giaciglio. Quando avvertì la presenza del materasso, lo misurò tastandolo con i palmi e vi si sdraiò senza spogliarsi. A quel punto, ripensò a quanto era avvenuto.

Egli stava passeggiando come tante altre persone per una delle vie della città, senza avere una meta precisa; camminava per il semplice gusto di farlo, per prendere un po’ d’aria fresca in quella bella mattina di festa. Si fermava di tanto in tanto ad osservare le vetrine dei negozi, a guardare le decorazioni affisse ai lampioni, poi a leggere, sui cartelli dell’edicola, i titoli delle notizie principali della giornata, quindi pensò di aver voglia di bere qualcosa di caldo. Alzò la testa in direzione del café più vicino, ma trasalì quando non vide più nessuno. Scostò lievemente la testa, poi voltò gli occhi dalla parte opposta per tentare di capire che cosa stesse succedendo, quando da un vicolo laterale uscì una dozzina di soldati in uniforme d’assalto, i quali lo circondarono in un attimo, disponendosi in circolo spalla contro spalla attorno a lui, puntandogli contro una raggiera di fucili automatici. Il signor Anderson lentamente sollevò le mani, aprendo piano le dita; mosse la testa quando udì dietro di sé il suono metallico di uno dei fucili del quale era stata aggiustata la posizione. In quel secondo sentì alle proprie spalle il rombo di un immane furgone blindato che, producendo un gran stridìo di pneumatici, si era accostato al gruppo di soldati, uno dei quali gli urlò di salire a bordo, cosa che fece senza aprire bocca e sempre sotto il tiro dei fucili. Durante il viaggio, il signor Anderson continuava a tenere le mani alzate; percepiva i fucili attorno a sé, ma non vedeva nulla perché la luce di una torcia gli veniva puntata in faccia e lo accecava. Accanto sentiva il respiro affannato del milite che gli aveva imposto di salire, il quale gli stava accosto più degli altri e gli faceva sentire la presenza dell’arma soppesandola su una mano. Il prigioniero si chiedeva perché non lo avessero ammanettato, com’è prassi in un arresto; pensava che nessuno lo aveva toccato e, anche nello spazio del vano di carico all’interno del quale stavano viaggiando — ampio più del consueto, ma comunque risicato per il numero di viaggiatori — ciascuno si teneva a debita distanza. Anche quello che gli stava vicino non lo toccava mai, nemmeno con la punta della canna dell’arma con cui lo stava minacciando.

Il furgone si fermò e i soldati aprirono il portello posteriore, dal quale scesero come un unico corpo di cui il signor Anderson era il centro. Questi teneva ancora le mani alzate e guardava lo sguardo truce del soldato che gli stava di fronte, cioè quello che gli era stato più vicino di tutti nel furgone. Costui gli ordinò di procedere e l’assembramento si spostò immediatamente dopo il comando perentorio. La divisa non lasciava trapelare nulla e nessuno poteva sapere che, mentre viaggiavano, si era pisciato addosso.

Il signor Anderson, non sapendo dove andare, seguiva i soldati che camminavano all’indietro sempre puntandogli le armi. Nonostante ciò non poté fare a meno di guardarsi attorno, in quel luogo sconosciuto. Il furgone aveva parcheggiato in uno spazio interno, murato in ogni direzione, anche in quella da cui dovevano essere entrati, il che gli fece piegare le labbra perplesso. “Guarda avanti!” gli fu intimato; il signor Anderson obbedì. Giunti alla fine del tragitto, una parete blindata si dischiuse come già raccontato e permise di entrare in un corridoio bianco, senza porte, illuminato con una forte luce al neon; in fondo ad esso la parete mutò in un ulteriore passaggio all’arrivo dei soldati, i quali aprirono il cerchio e il capo intimò al prigioniero di farsi avanti.

Il signor Anderson obbedì senza protestare. La parete si richiuse alle sue spalle, quindi si ritrovò in uno spazio malamente illuminato, di piccole dimensioni. Dedusse, dalla presenza di un’altra parete corazzata, che il luogo in questione consistesse in una sorta di bussola di sicurezza per impedire a ciò che si trovava oltre di fuoriuscire. L’intenzione pareva quella di farlo entrare lì e fu confermata dal rumore del motore che si attivò ad aprire il passaggio.

Questo è quanto era successo e nell’oscurità, sdraiato a pancia all’aria, il signor Anderson si domandava quale fosse il motivo di tali precauzioni per costringerlo là dentro. Preso atto della situazione, pensò che tanto valesse dormirci su. Chiuse quindi gli occhi, ma poco dopo udì il frastuono di un rantolo bestiale che glieli fece spalancare allarmato. Sentì il rumore di un corpo che si assestava su di un letto che calcolò, giudicando il suono, trovarsi ad un paio di metri dal suo. Da quella direzione provenne il colpo di qualche schiocco di lingua, seguito da un sospiro vibrante che si tramutò in un russare costante. Il signor Anderson produsse alcuni rumori con la bocca e fischiò con lo scopo di alleggerire il sonno e far smettere i rumori, ma poiché questi riprendevano immediatamente, rassegnato alla compagnia, tastò con le mani il materasso fino a trovare una coperta che utilizzò per coprire le orecchie. Il suono divenne, all’improvviso, un verso profondo e poi un ringhio, che la protezione improvvisata non riusciva più ad attenuare. Allora passò ad usare le mani, applaudendo e poi addirittura urlò per destare la bestia che non lo lasciava dormire, ma, escludendo brevi interruzioni, il rumore proseguì incessante. Se quella notte il signor Anderson si addormentò fu solo per la perdita di coscienza dovuta al sopraggiungere di una stanchezza insostenibile.

Fu la luce. Il signor Anderson sbatté gli occhi, che si strofinò per poi sbatterli ancora, sospirò, guardò l’ora — le sei e tre minuti — si tirò su e sbadigliò. Quando riaperse gli occhi, vide davanti a sé, a pochi passi dal suo letto, un omuncolo brutto al primo acchito, basso, che, qualora fosse sceso dal letto per mettersi in piedi gli sarebbe arrivato al petto. Capelli rossi e arruffati, occhi tondi e sbarrati, naso porcino, bocca ghignante che lasciava intravedere una schiera di piccoli denti a punta, gli arti tozzi, mani gonfie con unghie lunghe e aguzze. Quella creatura repellente doveva essere la causa della pessima notte, e in quel momento se ne stava lì e lo fissava.

“Chi sono non sai?” gli chiese con una voce stridente, acuta oltremodo se paragonata ai suoni cavernosi prodotti al buio. Il signor Anderson rispondeva al suo sguardo e mosse la testa con movimento lieve.

“Sono Mauqa, nominare me sentito non hai mai?” gli disse avendo colto il gesto, e dopo aver notato l’impassibilità del volto di fronte a sé, continuò: “Migliaia di persone uccise da me.”

Il signor Anderson annuì con un movimento minimo e Mauqa, orgoglioso di essersi guadagnato la sua attenzione, proseguì: “Sai come preso me hanno? Una mattina, un supermercato me ne andai a caccia in. Attorno guardavo per l’occasione scegliere migliore per attaccare, quando, al centro dell’edificio più o meno, di lucchetti e serrande forte rumore udii. Avevano me dentro l’edificio chiuso. Ogni persona dai soprabiti si spogliò a quel punto, rivelando essere sé un militare ed estrasse ciascuno di questi un arma con cui a sparare iniziò.” Sbuffò sarcastico. “Un baffo mi fanno le pallottole! Giunto era il momento di una strage fare. Pezzi di corpo volavano e il pavimento era di sangue un lago ormai divenuto, quando alle mie spalle una gabbia si aprì, una serie di martiri verso la quale ad entrare mi costrinse. Uccidevo uno e altri subito due sostituivano questo, lanciando sé per spingere contro di me. Pochi passi solo arretrai, sufficienti a chiudere dentro me, vergogno di ciò, però vivi rimasti loro solo venti o trenta al massimo alla fine sono.”

Il signor Anderson lo aveva guardato sempre, senza un cenno o un sussulto, mentre la belva raccontava mimando le azioni della battaglia, camminando avanti e indietro, per poi fermarsi e guardarlo con gli occhi iniettati di sangue. “Devono che ho fame aver capito” disse questa con spaventevole voce acuta, leccandosi le labbra. “Una preda hanno portato a me” e sorrise mostrando i denti in un sogghigno atroce.

La porta della sala di controllo si aprì per far entrare il sergente Koll, venuto a rimpiazzare il collega del turno precedente. La stanza era un bugigattolo con otto schermi video su una parete, che trasmettevano la situazione nella cella di Mauqa, vista da ogni angolo, ventiquattr’ore al giorno, ripresa da altrettante telecamere. Davanti a quegli schermi vi era una postazione su cui sedeva un soldato con il compito di sorvegliare il recluso, soldato che veniva sostituito ogni novanta minuti da un collega per garantire la totale attenzione nella vigilanza. In realtà, chi sedeva lì assisteva agli atteggiamenti irrequieti di Mauqa che saltava su e giù, urlando, sbattendo le cose, rotolandosi per terra e facendo segni volgari rivolti alle pareti, e tale occupazione non era molto amata da chi doveva occuparsene.

Il sergente Koll, dunque, entrò nella stanza con espressione sottomessa all’ordine, che si tramutò in sconcerto nel momento in cui vide il collega impietrito. Rapido gli si avvicinò e restò sgomento nel vedere la faccia di costui bianca come un lenzuolo, con gli occhi quasi fuori dalle orbite, i capelli dritti e la bocca spalancata. “Jorge! Jorge!” lo chiamò, scuotendogli una spalla, ma senza ottenere reazione alcuna; il corpo pareva rigido come la roccia. Jorge era morto.

Il sergente Koll, a quel punto, si voltò verso i monitor. Dovette fare un salto indietro cacciando un urlo. Atterrito e ansante di terrore guardava la scena che aveva stroncato il povero Jorge. Il pavimento, il soffitto, le quattro pareti, tutto ripreso in ogni dettaglio dalle telecamere e riproposto dagli schermi — solo tre dei quali mostravano parti rilevanti della stanza, dato che gli obiettivi delle camere collegate agli altri erano stati interamente imbrattati — tutto era completamente coperto di sangue. Sparsi per la cella era possibile riconoscere i pezzi del piccolo corpo dilaniato di Mauqa. Del signor Anderson non v’era traccia.